Catturare attimi di vita. Catturare quei secondi di immagini che poi scappano via. Catturare e immortalare luoghi e uomini e pensieri, paure, gioie e fantasmi. Tutto questo, e tanto altro, per intrappolare spazi ed esistenze nel timore che fuggano. Così la macchina fotografica si trasforma in un occhio rapido e indagatore, salvandoci dal dimenticare istanti in bianco e nero, sprazzi di tempo fuggenti che altrimenti si perderebbero nei meandri della nostra mente, già traboccante di timori inquietudini speranze e sogni.
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Queste sono le situazioni che fuggono anche loro velocemente come sono nate. Puff… e volano via come suggestioni che ci passano per la testa e a volte tornano e ritornano, quando ammiriamo le immagini fuggevoli, fuggenti e fuggitive di Claudio Matarazzo.
Questa è la sua fascinazione, il suo linguaggio che percepiamo di corsa quasi volessero volatilizzarsi come profumi le immagini che invece sono lì, stampate su carta pregiata e patinata. Sono lì, per noi, racchiuse nel progetto Spazio Insondato. Sono lì perché Claudio ce le dona con discrezione, quelle foto sfocate in quella luce acchiappata al volo perché è quella luce lì, quella sola luce lì che poi fuggirà anche lei dileguandosi nel buio e ci ritroveremo immersi in un’altra luce e forse in un’altra storia.
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“Sono sempre stato attratto dal momento fugace, quell’attimo dove la scena rimane impressa negli occhi e nella mente; un solo istante ed è già diventata evanescente, scompare a poco a poco: rimane l’eco di un suono, una luce, un’immagine… E’ come percepire una particolare frase in una folla chiassosa o un profumo in una strada trafficata… qualcosa d’istinto che dura per quel pochissimo tempo.”
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Così troviamo le parole per quelle storie fugaci che acchiappano al volo la nostra attenzione. Inizia anche per noi, che le guardiamo e cerchiamo di fermarle, un percorso ritmato e scandito, fatto di pensieri volatili anche loro: come quelle storie in un bianco e nero mai definito ma sfumato, spezzettato, sincopato e illuminato da quei lampi di luce stroboscopica intermittente che dipinge quelle foto di pennellate lampanti. “La ricerca di quell’Aura che la notte rende visibile trasfigurando l’apparente conosciuto in uno sconosciuto incantamento”.
Quella luce che ritroviamo nel Mantra degli Alberi
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Come nel Silenzio che prende forma, che già ci affascina come titolo e ci induce a pensare: quale mai sarà la forma del silenzio? Anche qui la luce diviene protagonista illuminando con scintillii spazi silenziosi. Dunque è questa la forma del silenzio? Confini sfuggenti, mare rilucente, silhouette di barche senza traghettatori e spighe al vento. Silente anche lui, illuminato da bagliori. E tutto si disperde.
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Ne Il quaderno dei giorni il quotidiano assurge ad una poetica di gesti che divengono simboli di momenti del vivere. Il tempo di una sigaretta e il tempo della lettura, il tempo del chiacchiericcio di parole disperse chissà dove e il tempo di quel fare e rifare atti giornalieri che si trasformano in un rituale.
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Quel rituale racchiuso in queste mani.
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Un quaderno, appunto, da sfogliare in attesa di altri giorni. Come queste uova, in attesa di dare ristoro.
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Altri progetti tutti da scoprire che già dai titoli pongono un accento poetico sulla nostra curiosità. Haiku e poi Taccuino Veneziano, dove una Venezia in bianco e nero appare in tutto il suo intenso incanto, lontana dai fasti colorati per turisti. Scorci ritagliati di case, locande ombrate, acqua color cenere evocano in noi la sinfonia di Mahler che risuonava in Morte a Venezia di Visconti.
In Simulacra la parvenza di un mare agitato. Come i nostri sensi.
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E poi esplode il colore. In Street in Cinematic ci troviamo a gironzolare con Claudio in quelle notti magiche dove tutto è da fotografare per ricordare, per focalizzare quel profumo di pioggia e quelle luci al neon che mutano la percezione dell’aria qui intorno.
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E non vorremmo mai più chiuderci tra quattro mura ma camminare per sempre tra queste foto e guardarle e riguardarle e rivivere quelle atmosfere di asfalti bagnati, di sguardi indagatori, di corse in metro e di un hot dog da gustare in quel baracchino illuminato che ci piace tanto…
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Claudio Matarazzo vive e lavora fra Venezia e Treviso. “Catturare ciò che non può essere espresso a parole” la frase che definisce il suo modus operandi. “Attratto dal momento in cui la scena si trasforma, quell’attimo fugace ma preciso in cui un’immagine si imprime negli occhi e nella mente, ma se la cerchi non la ritroverai più.” Ha esposto le sue fotografie – scattate e sviluppate con tecniche analogiche e digitali – in numerose gallerie d’arte, al Museo Casa Robegan di Treviso e partecipato al Premio Luce Iblea. Hanno scritto di lui il Maestro Vasco Ascolini, il pianista e compositore Bruno Sanfilippo, Alessandra Santin della Fondazione Santin e molti altri.
Claudio
Cara Laura, con la tua descrizione sono stati toccati vari aspetti che credo siano difficili da capire a primo sguardo ma, con questa tua recensione, ora si fà più chiara la lettura fotografica.
Sono davvero felice e questo tuo lavoro lo terrò davvero stretto… una lettura raffinata che allo stesso tempo ti fa sentire attaccato e parte del mio vedere.
Onorato.
Grazie davvero!
Claudio Matarazzo
Laura Malaterra
Claudio grazie, sono felice anche io delle tue parole che gratificano il mio lavoro. Come sempre mi lascio emozionare dalle immagini dei fotografi che scelgo per le mie recensioni. E’ stato così anche per te, per questo ti auguro di ‘esplorare’ luoghi esistenze e sentimenti con la tua particolare fotografia.
Laura